Report 2021 | Ematologia di Reggio Emilia 2.0: tra innovazione e fedeltà delle radici
I dati del 2021 relativi all’Ematologia, primo anno parzialmente post-COVID e quindi di un relativo ritorno alla normalità, hanno confermato quanto di ormai consolidato negli anni precedenti relativamente all’attività clinica che appare stabilizzata dal punto di vista numerico (con pochi margini di incremento nelle attuali condizioni logistiche), caratterizzata dalla cifra record di ricoveri e di trapianti di midollo, per la prima volta sopra 50 all’anno. Il bilancio con le province confinanti è sempre largamente favorevole nel rapporto migrazione attiva/passiva, a conferma di una attrattività solo modestamente intaccata dalla pandemia: un paziente ricoverato su cinque, in una regione che vanta ben nove Ematologie, proviene stabilmente da fuori provincia.
Il miglioramento più significativo, a conferma di un trend in atto da anni, è quello relativo alla produttività scientifica sia in termini di quantità che di qualità. L’Ematologia produce oltre il 20% della produzione scientifica complessiva dell’IRCCS oncologico.
Questa situazione di “buona salute” complessiva viene però ad interfacciarsi con la realtà di una disciplina ematologica che sta andando incontro a mutamenti repentini con l’avvento di nuovi trattamenti che ci chiedono anche sul piano organizzativo una flessibilità accompagnata da rapidità di azione.
Ci stiamo accorgendo, è avvenuto in tempi recenti per il day hospital e si sta verificando ora per la degenza, che la splendida struttura in cui lavoriamo, inaugurata solo sei anni fa non è sufficiente, nella attuale configurazione, ad ospitare un’Ematologia che voglia compiere un salto di qualità che la faccia rimanere nel gruppo di testa del panorama ematologico italiano nel quale è collocata grazie agli importanti sforzi di tutto il personale nel recente passato.
Ovviamente non bastano gli spazi a cambiare il volto di un reparto, ma devono essere accompagnati da un organico adeguato e soprattutto da una revisione organizzativa.
Questa sarà la sfida decisiva del periodo conclusivo della mia direzione, ma necessita del contributo propositivo di tutti. Le buone idee non conoscono confini e gerarchie di ruoli e in questi oltre dodici anni da direttore ho potuto più volte giovarmi di suggerimenti preziosi di colleghi appartenenti a tutte le figure professionali dell’Ematologia.
Questo scenario complesso coincide con un periodo di marcato turn over del personale, soprattutto infermieristico. Quella che appare come una difficoltà aggiuntiva, per le naturali problematiche e tempi di ambientamento di un nuovo arrivato, può diventare un’opportunità: persone nuove sono spesso apportatrici di idee nuove e di uno sguardo più “fresco” che consente di cogliere eventuali “incrostazioni” del sistema non più visibili, perchè divenute abituali, a chi vi opera da tanto tempo.
Il necessario adeguamento ai tempi non significa, però, snaturarsi, perdere quelle che sono le radici della nostra Ematologia, che sono rappresentate innanzitutto da una attenzione al paziente non dichiarata, ma praticata con ostinata determinazione nella routine di una quotidianità silenziosa e persino nascosta. Non mi stancherò mai di dirlo: l’essere prima di ogni altra cosa, non solo nell’assistenza ma anche nella ricerca, per il paziente, è quello che ha fatto di una squadra di buoni elementi un team che agli occhi dei cittadini risulta eccellente con un valore complessivo assai superiore alla somma dei singoli. Questo mettere il paziente al centro, ha consentito, quasi sempre, in virtù di un fine comune più alto e condiviso, di superare le naturali difficoltà di convivenza di una comunità numerosa di persone. In altre parole, di cercare di darsi sempre una mano.
Se si vuole che i nuovi innesti di personale si rivelino, come si diceva, un’opportunità, è necessario che quanti hanno la memoria storica dell’Ematologia, trasmettano questi valori e questo spirito di una squadra unica nel suo genere. Se si recidono queste radici, l’Ematologia di Reggio Emilia diventerà un’altra cosa, forse migliore dal punto di vista tecnico, ma certamente più arida dal punto di vista umano e, sul lungo periodo, per le naturali difficoltà connesse al fatto di vivere in una città di provincia, destinata a perdere anche la sfida dell’innovazione. E, per il rispetto che dobbiamo ai nostri pazienti, non ce lo possiamo permettere.